Tertium datur?

quando la toppa è peggio del buco
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Tertium datur?
Tex 658-660

Scheda IT-TX-658-660

"Quando Rodelo tornerà ci saranno due possibilità: o sarà ancora un delinquente, e tutto il sangue versato ricadrà sulla coscienza dei due Kit, o sarà in qualche modo redento, e allora significherà che Tex non è più in grado di giudicare i suoi avversari.Tertium non datur, ci pare, e non è una bella alternativa"

Così scrivevamo, un anno e mezzo fa, commentando il famigerato episodio della votazione con la quale i quattro pards, insanabilmente divisi circa la decisione da prendere riguardo la sorte di Kid Rodelo, risolvevano (sic) la faccenda, a nostro avviso, nel peggiore dei modi. Ora che abbiamo tra le mani i tre albi del "dannato seguito" (parole dell’autore, v. terzultimo paragrafo dell’articolo citato) possiamo avere finalmente un giudizio compiuto del seguito "sorprendente" (sempre parole dell’autore), che avrebbe finalmente fatto capire a tutti come una buona storia possa ben valere il prezzo di una piccola forzatura, come quella di mettersi a votare per decidere se lasciare libero o no un assassino, e che l’estro creativo di un Autore (maiuscola d’obbligo) non può certo lasciarsi frenare da un "cavillo da giustizialisti miopi" (cit.). Siamo costretti a dar ragione a Mauro Boselli. Winnipeg è realmente una storia sorprendente. Pur non nutrendo particolari aspettative al riguardo, anzi, aspettandoci ben poco di buono dal prosieguo del peggior finale mai visto nella saga texiana, l’autore è riuscito veramente a sorprenderci. In negativo.

Le regole di uBC impongono di riferirsi all’intera storia con il titolo del primo albo, ma in questo caso troveremmo assai più appropriato quello del terzo, Intrighi e veleni, perché questo ne è il vero filo rosso: sospetti, accuse, sotterfugi, menzogne... non solo tra i vari personaggi, e passi, ma anche, e soprattutto, tra i quattro pards. Nemmeno nelle nostre peggiori attese ci saremmo sognati Tex che mente al proprio figlio e a Carson, chiedendo a Tiger di tener d’occhio Rodelo a loro insaputa, in quanto la simpatia nutrita per il "giovane delinquente" stava evidentemente (?) offuscando la loro lucidità di giudizio - cosa che, alla luce dei fatti svelati in conclusione, finisce per rivelarsi pure infondata - o forse no?

Piccoli screzi tra fratello e sorella
Tex 658, pag.18 - Tavola di Alfonso Font

(c) 2015 Sergio Bonelli Editore

Piccoli screzi tra fratello e sorella<br>Tex 658, pag.18 - Tavola di Alfonso Font<br><i>(c) 2015 Sergio Bonelli Editore</i>

Per cercare di uscire dal vicolo cieco nel quale si era infilato con il discutibile finale della storia precedente, Boselli impiega un curioso espediente psicologico: Kid Rodelo era effettivamente marcio, pieno di odio e sordo rancore, ai tempi della votazione, quindi Tex avrebbe intuito correttamente la sua vera natura, ma nel periodo trascorso fra le due storie il Kid cambia, mutando il suo odio in non-si-sa-bene-cosa, ma comunque portandolo a salvare la vita a Carson e Kit (nonché, indirettamente, a Tex stesso, liberandolo dallo scantinato dove Thunder l’aveva rinchiuso) e, quindi, avvalorando l’intuizione che Kit e Carson ebbero nel votare a suo favore. Emerge una prima, doverosa riflessione: il primato di Tex quale giudice di uomini viene definitivamente seppellito, e proprio dal figlio che, almeno a detta dei suoi autori, mai e poi mai dovrebbe superare il padre in qualsivoglia campo (e che per questo, pare, crea così tanti problemi a chi ne sceneggia le storie). E’ un dato di fatto: se, alla fine del n.642, Tex non sbaglia nel ritenere Rodelo ancora pericoloso, il figlio Kit riesce a giudicarne la natura positiva addirittura nel futuro, e prima ancora dello stesso interessato! Miracoloso! O è così, o ha preso una solenne cantonata e gli è andata bene solo per puro caso (idem dicasi per quel "vecchio babbione" di Carson): anche qui, tertium non datur, e quale che sia la conclusione, a nostro modesto avviso sarebbe stato meglio astenersi dal mettere in piedi un teatrino del genere.

Glissiamo sull’abdicazione di Tex a leader del quartetto e sull’assurda decisione di imbarcare quel povero giuggiolone di Mike Foster in qualità di "pard aggiunto" con la sola funzione di poter votare in numero dispari, avendone già abbondantemente discusso in passato, e concentriamoci invece sugli ultimi tre albi, domandandoci, non senza un certo imbarazzo, come li si possa giudicare (e senza referendum).

Stavolta la spaccatura del quartetto diviene elemento fondante e imprescindibile

Riguardo a Il prigioniero di Yuma il recensore Matteo Rima si era affidato a un interessante artificio: se i protagonisti della storia fossero stati Ted e Kid Miller, Pete Parson e Spider Jack, saremmo stati di fronte a un’opera notevole. In altre parole, soltanto astraendo dalla trama la natura dei quattro protagonisti si riusciva ad apprezzarne i pregi. Stavolta l’operazione non è possibile, perché la spaccatura del quartetto, che prima si materializzava solo nelle sei sciagurate pagine conclusive, qui diviene elemento fondante e imprescindibile. Tutto il complicato castello di inganni e sospetti, falsi indizi e presunti colpevoli, che Boselli costruisce con piglio più da giallista che da scrittore western o d’avventura, non potrebbe reggere a lungo se i quattro pards l’affrontassero uniti e compatti come avrebbe dovuto essere. Ma, in questo caso, le esigenze narrative dell’Autore chiedevano altro, quindi tanto peggio per l’integrità dei protagonisti e i sessantasette anni di storia editoriale che li accompagnano.

Gli "intrighi e veleni" che offuscano i rapporti tra i pards e cercano, peraltro fallendo, di celare al lettore la vera pasta di Rodelo, non possono stavolta derubricarsi a incidente di percorso e devono essere considerati frutto di una precisa volontà, ossia giungere a un esito a tutti i costi "sorprendente". Purtroppo, la ben nota passione di Boselli per i criminali redenti e i ritorni dal passato stavolta ha rovinato la festa con largo anticipo (c’è stato chi ha intuito il ritorno di Thunder redivivo fin dal primo albo, e il salvataggio dei pards per mano del Kid era ampiamente telefonato già dal secondo), portandolo a commettere uno dei peggiori peccati per un professionista della sua esperienza: far sì che i lettori capiscano come vanno le cose prima di Tex stesso.

Sfumata la "sorprendente" rivelazione, che cosa rimane? Sicuramente tre albi con una densità di balloon mai vista, verbosi in modo (purtroppo) inversamente proporzionale all’ironia e alla leggerezza che, sole, potrebbero rendere digeribile un tale profluvio di spiegazioni, divagazioni, descrizioni, ragionamenti e dialoghi da far pensare di essere di fronte alla brutta copia di un giallo deduttivo di Conan Doyle o Agatha Christie, invece che all’omaggio di autori cari a Bonelli padre quali L’amour, London o Dumas.

Autostima a mille per i pards!
Disegni di Alfonso Font

(c) 2015 Sergio Bonelli Editore

Autostima a mille per i pards!<br>Disegni di Alfonso Font<br><i>(c) 2015 Sergio Bonelli Editore</i>

Se Tex si fa imperdonabilmente "anticipare" dal lettore, che dire delle figure che rimediano per strada gli altri tre? Da Tiger, che si fa trattare da povero servo sciocco da Brandon, ai due Kit che, pur avendo imbroccato (per puro caso?) la decisione giusta riguardo a Rodelo, fanno in tempo a pentirsene entrambi, dandosi rispettivamente del babbione e dell’idiota: davvero una meraviglia! Da notare che, all’interno di tre albi dove la seriosità va a braccetto con la prolissità, gli unici spunti ironici di Tex sono ai danni del figlio e dell’anziano pard: il primo, rimbeccato come un mocciosetto irrispettoso e poi come un adolescente in crisi ormonale; il secondo, trattato alla stregua di un vecchio beone. Quel che dà noia è che non si tratta delle solite reciproche punzecchiature con le quali i pards alleggeriscono (alleggerivano?) le loro conversazioni e di cui Gianluigi Bonelli era indiscusso maestro. No, si tratta di ironia a senso unico, poiché i destinatari incassano e portano a casa, nel caso di Kit addirittura in modo imbarazzante.

Per ragioni di spazio e di opportunità non ci soffermeremo sul quantitativo di incongruenze e forzature che costellano l’intera storia, del quale rendiamo però pienamente conto nella scheda allegata alla presente recensione; un quantitativo così cospicuo da far seriamente dubitare di essere in presenza di un’opera di Mauro Boselli e che ci conduce a una sola possibile conclusione: l’aver cercato un’impossibile quadratura del cerchio con la fine della tripletta precedente ha generato qualcosa di totalmente alieno al mondo di Tex, a riprova, se mai ce ne fosse stato bisogno, che giocare con i connotati di personaggi così amati e consolidati nel corso dei decenni è un esercizio molto pericoloso, nonché altamente sconsigliabile.

Coda di paglia?
Tex 659, pag.109 - Tavola di Alfonso Font

(c) 2015 Sergio Bonelli Editore

Coda di paglia?<br>Tex 659, pag.109 - Tavola di Alfonso Font<br><i>(c) 2015 Sergio Bonelli Editore</i>

Emblematico il dialogo fra Tex e Carson alle pagine 108-111 del n.659, tanto forzato e irreale, per il contesto e i personaggi che lo animano, da non poter non suonare come un tentativo di giustificazione intradiegetica dell’Autore verso i propri lettori - tentativo maldestro e dannoso, poiché finisce per dare ancor più risalto a un brutto episodio che sarebbe stato meglio seppellire sotto la pietosa coltre dell’oblio. Ci si lasci solo puntualizzare che, se la giustizia sommaria non fa parte dei metodi di Tex, affidarsi al fato e truccare le carte in un frangente del genere ne fanno ancor meno parte.

Alfonso Font, autore grafico dell’episodio precedente (nonché della prima apparizione di Durango), è stato ovviamente confermato ai pennelli, purtroppo senza riuscire a risollevare le sorti di un’opera già nata sotto una cattiva stella e anzi, se possibile, peggiorando la situazione. Non abbiamo mai nascosto di ritenere Font un artista che non è in piena sintonia con Tex e il suo mondo, ma nemmeno abbiamo mai misconosciuto il suo indubbio talento, né mancato di riconoscergli il merito di essere uno dei pochi ad aver affrontato il ranger con uno stile personale e riconoscibile, invece di rifarsi ai soliti modelli consolidati (Ticci, Villa, Civitelli). Ma se in passato il grande autore spagnolo riusciva sempre a regalarci qualche tavola degna del suo brillante cursus honorum, il decadimento nella realizzazione di questi ultimi tre albi è qualcosa che non può essere taciuto, da tanto è palese. Le fisionomie sono così incerte da sconfinare spesso nella caricatura involontaria, specie per quanto riguarda Tex e i pards, ma senza risparmiare alcuno dei personaggi, compreso il vecchio Jack Thunder, raffigurato più come una macchietta che come quel diabolico tizzone infernale che dovrebbe essere. La sceneggiatura, cupa, statica e strapiena di dialoghi, non lo ha sicuramente aiutato, mettendo invece ancor più in evidenza la sua difficoltà nel tratteggio dei volti e nel conferire la giusta espressività ai personaggi. Ci spiace che, molto probabilmente, finiremo per associare il tratto di Font a questa lunga e sfortunata saga, il cui declino è andato di pari passo con quello del suo disegnatore.

Mefisto? No! Il Dottor Marvel! Chi era costui?
Tex 660, pag.67 - Tavola di Alfonso Font

(c) 2015 Sergio Bonelli Editore

Mefisto? No! Il Dottor Marvel! Chi era costui?<br>Tex 660, pag.67 - Tavola di Alfonso Font<br><i>(c) 2015 Sergio Bonelli Editore</i>

Concludendo: è dunque questo il "sorprendente", nonché "dannato seguito" che avrebbe motivato le Sei Pagine di Follia? E’ per questo che i comportamenti dei quattro eroi più famosi del fumetto italiano sono stati stravolti al punto da renderli, de facto, quattro personaggi diversi? Come si è arrivati a tanto? E’ probabile che la volontà di sfornare a tutti i costi il capolavoro che avrebbe dovuto sanare il vulnus aperto dalla storia precedente, cercando di tenere insieme tutte le premesse sballate che si portava dietro, abbia prodotto l’effetto contrario, e cioé una storia zeppa di personaggi, parlata (e "pensata") all’inverosimile, ma inferiore alla pur non memorabile precedente e discretamente noiosa. L’ansia spiegazionista raggiunge livelli parossistici, soffocando lo stesso svolgimento della trama che aveva anche dei buoni spunti, ma che ci ha lasciato l’impressione di un film girato con gli attori sbagliati. Che Mauro Boselli abbia da tempo avviato un’opera di lento ma progressivo allontanamento dal canone di Gianluigi Bonelli, e conseguente ridefinizione dei personaggi, non è certo qualcosa che impariamo oggi, ma una tale accelerazione ci suggerisce che, forse, stavolta la situazione sia sfuggita di mano all’Autore stesso, vittima di una implacabile hybris texiana che non risparmia nessuno, nemmeno il più dotato fra gli attuali sceneggiatori della scuderia.

Sappiamo essere in cantiere ancora un episodio, sperabilmente l’ultimo, che immaginiamo incentrato sul membro superstite della famiglia di giovani delinquenti. Date le premesse, non nascondiamo una notevole preoccupazione, ma, come si suol dire, lasciamoci stupire. Quel che possiamo affermare, oggi, è che le Sei Pagine di Follia hanno prodotto trecentotrenta pagine stranianti e crepuscolari, con quattro irriconoscibili pards immersi in un mare di incertezza, grigiore, allucinazioni e sospetti, dove niente è come appare, agli antipodi del nitore cristallino che il quartetto creato da Bonelli padre emanava in ogni singola avventura, comprese le meno riuscite. Che dire? Gli estimatori di Boselli e della "modernità" ne saranno, probabilmente, comunque soddisfatti. Gli estimatori di Tex, molto meno.



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